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» 24/02/2011 08:28
MEDIO ORIENTE
La primavera del mondo arabo
di Samir Khalil Samir
Non c’è fondamentalismo, né ideologia anti-israeliana nelle manifestazioni in Libia, Egitto, Tunisia, ecc… È un movimento di giovani spinti dalle strettezze economiche e da ideali quali la democrazia, l’uguaglianza, la libertà, la giustizia. Le dimostrazioni sono senza violenza e odio. Occorre un esame di coscienza dell’Europa e degli Stati Uniti che hanno sempre appoggiato i dittatori rimanendo ciechi verso le esigenze dei giovani di questi Paesi.

Roma (AsiaNews) - Quanto stiamo vivendo in Africa del nord e in Medio Oriente è davvero una primavera del mondo arabo. Tutta questa regione sta cambiando e sta rivelando un aspetto che finora non era manifesto: l’importanza dei giovani.

Rivoluzione dei giovani                                    

Le persone che manifestano, che tengono i contatti, che diffondono le notizie sono tutti giovani sotto 30 anni. In questi Paesi la metà della popolazione è sotto i 30 anni. In tutti i Paesi del Medio oriente l’età media della popolazione è fra i 29 e i 31 anni. Il desiderio di questi giovani è di avere un lavoro, e magari di sposarsi (ma questo suppone avere dei soldi e perciò – ancora - un lavoro). Le loro richieste partono dunque da esigenze terra terra. A queste si aggiungono anche priorità di valori: democrazia, libertà, parità, giustizia. Questi sono i desideri di tutti i giovani del mondo, ma in quella situazione, con la grande percentuale di giovani, tali desideri sono divenuti una spinta fondamentale al cambiamento.

Una seconda caratteristica è il minor interesse per i conflitti internazionali. In tutti questi movimenti non sono apparsi temi legati all’America, a Israele, alla lotta dei palestinesi, alla liberazione di Gerusalemme, ecc. Per decenni nel mondo arabo vi sono state manifestazioni così ideologizzate. Questi giovani sono invece centrati su problemi nazionali e sociali; non testimoniano nessuna ideologia, di destra o di sinistra. In tutti questi mesi nessuno ha bruciato una bandiera americana o israeliana, o ha fatto proclami in difesa dell’islam che deve dominare la terra. Essi non vogliono ideologie, ma realismo.

Rivoluzione di solidarietà, senza fanatismo

Su questa linea, colpisce il fatto che i giovani vogliano sì la religione, ma senza fanatismo; è esclusa ogni opposizione fra gente di religioni diverse. Nei giorni scorsi ho potuto assistere a un raduno per la commemorazione della morte di Rafik Hariri in Libano il 14 febbraio.  La cerimonia si svolgeva in una sala colma di centinaia di persone, grandi dignitari e gente comune, al Biel di Beirut. Sul palco prima della commemorazione, è stata eseguita l’Ave Maria, cantata da una solista libanese cristiana, intrecciata con l’appello alla preghiera musulmana, eseguito da un cantautore islamico. Le due voci si mescolavano in una maniera così profonda e bella, che molti si sono messi a piangere per la commozione.

C’è perciò in questo movimento un desiderio di unità, di pace, forse un po’ idealista, ma reale. Basta vedere le foto che abbiamo pubblicato su AsiaNews nei giorni scorsi (v. Rivoluzione egiziana: Cristiani e Musulmani uniti).

Durante le manifestazioni in Egitto abbiamo potuto assistere a gesti anche nuovi e inusitati, come quelle donne che baciavano i soldati come se fossero loro figli, perché i soldati hanno deciso di non sparare sulla popolazione. Anche in Libia i militari si sono ammutinati, al punto che il governo ha dovuto chiamare dei mercenari sub-sahariani. Almeno 5 ambasciatori libici hanno dato le dimissioni; ministri si sono dimessi; altri soldati hanno rifiutato di bombardare alcune città.

E’ un movimento che dice no alla dittatura, una vera primavera che speriamo non vada delusa.

In questo ambito non appare mai una religiosità formale o eccessiva. Non fa problema che sulla piazza della liberazione ci sono dei “barbuti” (appartenenti a movimenti islamici). Ma essi non hanno fatto blocco fra loro, e si sono invece mescolati a tutta la folla. Questa unità è una novità.

Rivoluzione pacifica

Un altro elemento che balza evidente è che tutti hanno cercato di manifestare e spingere al cambiamento in modo pacifico: in Egitto soprattutto, ma anche in Bahrain, in Tunisia e un po’ anche in Libia. E’ come se il mondo arabo aspirasse finalmente a un’era di pace.

L’elemento pacifico è risaltato anche dal fatto che non c’è stata forte animosità contro Mubarak o contro Ben Alì. C’è qualcosa ovviamente, ma non vi è stata violenza. E questo indica una volontà di fare qualcosa di bello e di nuovo insieme.

Un elemento che mi preoccupa e sorprende è l’assenza di leader. Forse questo dipende dal fatto che questi movimenti sono fatti da giovani che non hanno vene ideologiche o fondamentaliste. Questo è l’aspetto rischioso del movimento, che magari in futuro potrebbe essere sottomesso o soffocato da qualche leader indegno del loro slancio.

D’altra parte questi movimenti ricordano quelli dell’89 nell’Europa dell’Est. Anche lì vi è stato un effetto domino per cui i regimi sono caduti uno ad uno senza colpo ferire. Questa impressione generale mi dà una certa sicurezza che i giovani non saranno manipolati da movimenti estremisti religiosi o ideologici.

E l’Europa?

Se guardiamo poi all’occidente, ciò che più stupisce è che tutti i governi europei confessano che questi cambiamenti sono accaduti in modo inaspettato. Come è possibile che l’Europa, che ha così tanti rapporti economici con questi Paesi, non si sia mai accorta di nessun segnale? Forse l’Europa, nei rapporti con queste regioni, si interessava solo ai propri investimenti. Questa insensibilità o cecità è una lacuna sorprendente.

Girano anche molte interpretazioni secondo cui questi stravolgimenti sono tutti orchestrati dall’America, che vuole in tal modo riaffermare il suo potere dal Marocco fino al Kuwait, ridisegnando la leadership di questi Paesi e controllando tutte le risorse petrolifere della regione. A me sembra che questa visione conceda agli Stati Uniti un ruolo da superpotenza manipolatrice che non ha.

Invece, a questo punto, il compito dell’Europa è di aiutare senza intromettersi. La gente non vuole ingerenze esterne nella loro politica. Ma ha bisogno nello stesso tempo di essere sostenuta. Queste rivolte hanno causato forti disastri economici: lunghi scioperi, distruzioni, miseria. Sarebbe bene tendere la mano e aiutare a risolvere questi problemi.

D’altra parte è tempo che l’Europa approfitti di questa nuova situazione per fare un esame di coscienza. Cosa abbiamo fatto con questi regimi? Di fatto, li abbiamo sostenuti. La Francia con la Tunisia, l’Italia con la Libia, gli Stati Uniti con l’Egitto: in un modo o in un altro questi Paesi hanno avuto degli sponsor occidentali. Quanto sta succedendo è un invito all’Europa a verificare gli appoggi che dà a questi regimi, per rendere in futuro più positivo l’apporto europeo verso gli altri Paesi.


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